È uno dei più grandi misteri del ciclismo (o cospirazione, a seconda di chi o cosa si crede): sono mai state vinte gare ciclistiche professionistiche con motori nascosti? Abbiamo preso spunto (pubblicando una parte dell’interessante articolo) dal sito sempre pieno di grandi ispirazioni, cyclingnews.com, per tornare a parlare delle accuse più note di doping motoristico in alcuni dei più grandi eventi sportivi, le quali, sono avvenute tra il 2010 e il 2014. Sono tra le tante accuse non provate e strenuamente negate, ma sono voci che hanno fatto infuriare i loro fan solo per il fatto che l’UCI, l’organismo di governo mondiale del ciclismo, non aveva test specifici in atto per rilevare i motori fino a gennaio 2016 (salvo per l’occasionale lancio di una macchina a raggi X e lo smantellamento occasionale di biciclette), il che significa che i ciclisti avrebbero potuto avere assistenza motorizzata senza il timore che tali imbrogli venissero scoperti.
Ma nessuno, a parte la giovane ciclista belga di ciclocross Femke Van den Driessche nel 2016 (che sia una coincidenza o no, il primo giorno in cui l’UCI ha introdotto uno scanner magnetico ancora in uso oggi), è mai stato sorpreso con un motore nella propria bici.
Negli ultimi due anni continua sul sito specializzato di ciclismo, ho indagato sulla frode tecnologica, o doping automobilistico, come viene comunemente chiamato l’argomento, e all’inizio del 2024, insieme alla società di podcast Stak, ho pubblicato Ghost in the Machine , un documentario podcast in sette parti che esamina il problema. Tra le tante cose che ho imparato, la più sorprendente è che, sebbene non tutti lo ammetteranno per paura di essere rimproverati, c’è un’accettazione quasi universale all’interno dello sport che il doping automobilistico si stava verificando più ampiamente prima del 2016; Van den Driessche non è stata l’unica, è stata solo la sfortunata a essere scoperta. Un capro espiatorio, dicono alcuni.
Il che solleva la domanda: scopriremo mai la “verità” sul doping automobilistico del passato? E l’UCI, nonostante abbia dato “carta bianca” all’ex investigatore criminale americano Nick Raudenski, l’uomo responsabile di aver affrontato la minaccia da maggio, è davvero disposta a disseppellire il passato e i traumi potenzialmente irrisolti?… Continua a leggere